Che Festival è stato? Sanremo tra la kermesse e la radio- Intervista a Anna Bisogno

Scritto da il 23/02/2025

a cura di Cristiana Mugnaini. Montaggio audio: Daniele Muriana.

Anna Bisogno, professoressa di Cinema, Radio e Televisione presso l’Università Telematica Mercatorum, ci offre uno sguardo critico sulla 75esima edizione del Festival di Sanremo, analizzandone i momenti più significativi e il loro possibile impatto nella memoria collettiva. Con lei abbiamo parlato anche del cambiamento della città di Sanremo e del ruolo della radio, esplorando come il linguaggio radiofonico abbia contribuito a costruire la narrazione pubblica della manifestazione nel tempo.

Come valuta quest’edizione del Festival di Sanremo? Quali sono stati, a suo avviso, i momenti più significativi che potremmo rivedere nelle Teche Rai?

Il Festival di Sanremo è il Festival di Sanremo, un po’ come la Nutella e la Coca-Cola: entità a sé stanti. Possiamo parlare di un “modello Sanremo” che si declina di volta in volta in base alla conduzione, alla macchina produttiva e a quella autorale. Sono questi gli elementi su cui è possibile individuare continuità, discontinuità, elementi nuovi e altri più tradizionali. Francamente, in questa edizione non mi è sembrato di individuare grandi innovazioni. Era un Festival che avrebbe dovuto rappresentare un momento di passaggio tra un ciclo concluso e un nuovo corso, con aspettative ben definite. Invece, è stata proposta una formula che ha avuto più il sapore di una restaurazione. Sono stati recuperati alcuni elementi del passato e, in generale, trovo che Carlo Conti sia molto più “baudiano” di Amadeus, più propositivo e attento alla costruzione del rito televisivo. Non dimentichiamo che Amadeus ha anche condotto due edizioni del Festival in piena pandemia, senza pubblico, e questo ha condizionato la sua gestione dell’evento. Il punto di forza del Festival targato Conti è sicuramente il livello di popolarità più accentuato, che si sposa bene con la natura rituale di Sanremo. Tuttavia, ricorderemo negativamente la mancanza di ritmo che ha caratterizzato le serate. Non ha fornito grandi spunti dal punto di vista dello spettacolo e, soprattutto, ha perso proprio l’elemento essenziale del ritmo televisivo. Il ritmo non è solo una questione di durata o di far cantare i cantanti uno dietro l’altro; significa costruire uno spettacolo che sia coinvolgente e dinamico. Questa, secondo me, è stata la sfida più grande che è stata persa: il Festival di Sanremo non è solo una gara di canzoni, e ormai da tempo immemorabile è molto di più. L’elemento dello spettacolo, in questa edizione, è venuto meno. Non bisogna confondere la semplice esibizione dei cantanti con la costruzione di uno show vero e proprio. A tratti, sembrava quasi un vigile urbano mentre dirige il traffico, piuttosto che un evento orchestrato con cura. Anche la conduzione poteva essere più coraggiosa, anziché limitarsi a una gestione ordinata e istituzionale dei vari momenti. Un punto di forza, però, è stato dato da alcuni co-conduttori che hanno portato la loro identità artistica e acceso lo spettacolo. Su tutti, spiccano Geppi Cucciari e Gerry Scotti. Quest’ultimo, nella prima puntata, è stato quasi il Fiorello di Carlo Conti, aggiungendo vivacità e ritmo. Questi sono, a mio avviso, gli elementi principali che resteranno di questa edizione, quelli che potremmo rivedere con piacere nelle Teche Rai e nei servizi che sicuramente ci accompagneranno ancora per qualche settimana.

Secondo lei la città di Sanremo invece è cambiata?

Il Festival di Sanremo e la città di Sanremo sono sempre andati di pari passo. Nel corso della sua lunga storia, il Festival non è stato solo un evento musicale, ma ha contribuito a costruire una vera e propria comunità geografica fondata sui suoni e sui colori che ogni anno animano la città. Sanremo cresce insieme al Festival, in un rapporto di crescita condivisa che si riflette anche nella sua evoluzione. Fin dalle origini, il Festival è stato legato a luoghi simbolo della città. Dapprima il Casinò, dal 1951 al 1976, poi il Teatro Ariston, dal 1977 fino ai giorni nostri, con l’unica eccezione del 1990. Questi spazi non sono solo contenitori dell’evento, ma parte integrante dello storytelling mediatico che accompagna il Festival: prima con la radio, poi con la televisione e oggi con i social.

Sanremo e il Festival sono il punto di partenza di un racconto che si sviluppa ogni anno tra la prima e la seconda settimana di febbraio. Quest’anno, ad esempio, il Festival è iniziato leggermente più tardi rispetto al solito, e l’anno prossimo potrebbe addirittura svolgersi a marzo a causa di impegni contrattuali della Rai legati a eventi sportivi come le gare di calcio. È una possibilità ancora da confermare, ma dimostra quanto il Festival sia un evento vivo, che si adatta alle esigenze del contesto in cui si inserisce.

Lei ha accennato al ruolo delle radio. In che modo l’evoluzione del linguaggio radiofonico ha contribuito a plasmare la narrazione pubblica del Festival di Sanremo?

Il Festival di Sanremo, nel corso della sua storia, si è trasformato da semplice evento musicale a fenomeno culturale nazionale. In questo processo, la radio ha avuto un ruolo strategico e fondamentale, contribuendo a creare un immaginario condiviso e alimentando la creatività dell’ascoltatore. Ascoltare significava immaginare, proiettarsi nell’evento e sentirsi parte di esso. Nei primi anni del Festival, la radio non solo lo trasmetteva, ma aveva anche una funzione determinante nella costruzione dell’industria discografica italiana. Prima ancora della nascita della Rai, l’EIAR disponeva di un numero limitato di brani da mandare in onda, ma con l’avvento di Sanremo si sviluppò un repertorio musicale più vasto, ponendo le basi per quella che sarebbe diventata la discografia nazionale. Fino al 1954, la Rai era esclusivamente radiofonica e il Festival contribuì a rafforzarne il ruolo, dando vita a un patrimonio di musica leggera e popolare. L’intento originario della Rai, infatti, era quello di educare il pubblico attraverso la musica, con una funzione pedagogica, normativa e paterna, che rifletteva la cultura dell’epoca. Oltre a questo aspetto storico, la radio ha sempre rappresentato la principale cassa di risonanza per le canzoni del Festival, decretando il successo effettivo dei brani al di là della classifica ufficiale. La programmazione radiofonica post-Sanremo, infatti, ha spesso determinato quali canzoni sarebbero diventate realmente popolari, costruendo una sorta di “classifica del sentiment”, basata sul gradimento del pubblico più che sulle votazioni della competizione. Negli ultimi anni, con l’avvento delle radio digitali, il racconto del Festival si è ulteriormente evoluto. Le radio non si limitano più alla semplice trasmissione dei brani, ma li accompagnano con interviste agli artisti, talk di approfondimento e rubriche dedicate, contribuendo a modernizzare la narrazione dell’evento. Sanremo, così come ogni evento che entra a far parte dell’immaginario collettivo, trova sempre nella radio un alleato fondamentale per amplificarne il significato e la portata culturale.

Questa intervista fa parte della puntata SPECIALE CARTACCE- Sanremo, oltre la musica: potete ascoltarla cliccando qui.


Traccia corrente

Titolo

Artista

Background