Come si organizza il Festival di Sanremo?- Intervista a Andrea Fabiano

Scritto da il 23/02/2025

a cura di Cristiana Mugnaini

Ogni edizione del Festival di Sanremo porta con sé nuove dinamiche, sia sul palco che dietro le quinte. Andrea Fabiano, ex direttore di Rai 1, ci ha spiegato le sfide nell’organizzare un evento di questa portata, al dibattito politico che scaturisce e le trasformazioni che il Festival di Sanremo ha vissuto nel tempo, fino ad arrivare all’Eurovision Song Contest.

Quali sono le sfide principali nell’organizzare un evento come il Festival di Sanremo da un punto di vista televisivo?

La sfida numero uno, ovviamente, è l’individuazione del direttore artistico e del conduttore o della conduttrice. Da lì si parte, perché questa scelta dà già un indirizzo complessivo al Festival, rappresentandone il momento fondativo. Una volta stabilito questo, bisogna iniziare a lavorare: è compito di chi ha la responsabilità della direzione artistica – ormai quasi sempre coincidente con la conduzione – costruire il Festival dal punto di vista artistico, che è il suo cuore centrale, soprattutto sotto il profilo musicale. C’è quindi un lungo e complesso lavoro di interazione e confronto con gli artisti che propongono le proprie canzoni per partecipare al Festival, un percorso impegnativo che porta a valutare centinaia di possibilità e a prendere decisioni talvolta difficili. Alla fine, infatti, bisogna arrivare a un cast ristretto, composto da poche decine di artisti tra i cosiddetti “Campioni” e, quando previsto, le “Nuove Proposte”.

Ma non c’è solo la componente musicale in senso stretto: un altro aspetto fondamentale è quello della messa in scena, dall’impianto scenografico alla costruzione dell’involucro artistico che definirà lo spazio del Festival. Questo non è solo un elemento fisico, ma il luogo in cui prende vita lo spettacolo, tra performance musicali e momenti di intrattenimento sul palco. Parallelamente, si sviluppa un lavoro di tipo produttivo e organizzativo. Il Festival di Sanremo mobilita migliaia di persone su diversi fronti: già la costruzione della scenografia coinvolge professionisti che collaborano con la direzione artistica e con la Rai nella fase di progettazione. Quel progetto, poi, deve essere realizzato concretamente: per questo il Teatro Ariston viene consegnato alla Rai nel mese di dicembre e, da quel momento, inizia la trasformazione che lo porta a diventare il grande palcoscenico che milioni di spettatori vedranno nella cosiddetta “settimana santa” di febbraio.

A questo si aggiunge la gestione di tutte le persone che gravitano attorno al Festival: orchestrali, autori, tecnici, produttori, entourage degli artisti, artisti stessi e ospiti, per un totale di centinaia di figure coinvolte. C’è quindi un’enorme macchina logistica e organizzativa da mettere in campo per garantire il corretto svolgimento dell’evento. Sanremo è una macchina imponente, un ingranaggio complesso che coinvolge migliaia di persone e richiede un lavoro minuzioso da parte di professionisti altamente qualificati. La Rai, con le sue risorse e competenze, riesce ogni anno a dispiegare il meglio delle sue forze per fare in modo che questo evento – da sempre centrale per la televisione e, negli ultimi anni, tornato a essere un punto di riferimento nella società italiana – venga organizzato e proposto nel miglior modo possibile.

Secondo lei, il teatro Ariston e la città di Sanremo sono ancora la location più adatta?

Beh, allora, è chiaro che il Festival della Canzone Italiana e Sanremo rappresentano un binomio indissolubile, con così tanti decenni di storia alle spalle che faccio fatica a immaginarli separati. Per quanto, alla luce di alcune vicende legali e normative, possa teoricamente esistere un rischio in tal senso, ritengo che questa separazione non avverrà mai. Il Teatro Ariston è parte dell’immaginario collettivo: tutti gli italiani che hanno una relazione con il Festival lo associano automaticamente a quella sede storica. L’Ariston è una struttura con caratteristiche ben definite, non è certo un’arena di grandi dimensioni come quelle che ospitano eventi internazionali come l’Eurovision, e chi si occupa dell’organizzazione del Festival deve fare i conti con questi spazi.

La bravura di chi, di volta in volta, gestisce artisticamente il Festival – insieme agli scenografi e ai direttori artistici che collaborano con la Rai – sta proprio nello sfruttare al massimo questa struttura, che ha i suoi punti di forza ma anche i suoi limiti. Tuttavia, ogni anno riesce a trasformarsi in un palcoscenico capace di sprigionare un’energia magnetica, un’elettricità che emoziona il pubblico e mette alla prova gli artisti che vi si esibiscono. L’idea che il Comune di Sanremo possa costruire una nuova venue per ospitare il Festival è una scelta che spetta all’amministrazione locale, ma finché non esisterà un’alternativa concreta, il Teatro Ariston “è” il Festival di Sanremo. Con tutte le sue peculiarità e limitazioni, continua a essere il cuore pulsante della manifestazione, grazie anche al lavoro di scenografi e architetti di grande talento, che ogni anno riescono a esaltarne al meglio le potenzialità.

Negli ultimi anni alcuni artisti e alcune artiste hanno suscitato dibattiti politici. Crede che la kermesse debba rimanere un evento puramente artistico e musicale o sia inevitabile che diventi uno spazio di dibattito?

Io credo che sia inevitabile che il Festival rappresenti sempre un’occasione in cui si possano scatenare dibattiti, o quantomeno, per dirla in altri termini, che metta al centro della società italiana temi importanti. Questo avviene attraverso alcune canzoni, alcune esibizioni, ma anche interventi, artistici e non solo, che esulano dalla gara e ne fanno parte integrante. D’altronde, trattandosi di un evento che mobilita e attira l’attenzione di così tante persone in Italia, è inevitabile che diventi oggetto di discussione e, talvolta, di polemica. Non credo sia possibile, né auspicabile, che il Festival diventi un evento asettico rispetto alla realtà sociale del nostro Paese e del contesto internazionale. Il punto, semmai, sta nella misura e nell’approccio con cui questi temi vengono affrontati, ma è naturale che il Festival sia sempre attraversato da ciò che accade intorno a noi.

Del resto, la musica stessa spesso trae ispirazione dalla realtà e affronta valori e temi profondi, toccando corde importanti. Per questo ritengo che sia non solo inevitabile, ma anche auspicabile, che il Festival continui a mantenere questo ruolo. Le polemiche ci sono sempre state e sempre ci saranno, anche perché, per chi vuole farne, il Festival rappresenta un’occasione ghiotta per cavalcare certi argomenti e guadagnare visibilità sulle proprie posizioni.

Prima accennava al fatto che il Festival ha ritrovato una sua centralità. Per lei c’è stato un momento preciso in cui si è segnato un “prima e un dopo”?

Il Festival ha attraversato molte stagioni nel corso della sua lunga vita. Negli anni più recenti si è verificato un cambiamento significativo, a partire dalla costruzione stessa dello spettacolo, con particolare attenzione alle scelte musicali. Queste ultime hanno trovato terreno fertile in un momento di trasformazione della scena musicale italiana, rappresentando così un primo tassello di evoluzione. Un secondo elemento di cambiamento è stato il modo in cui la Rai ha iniziato a lavorare in maniera più sistematica e organica sul Festival, mobilitando l’intera azienda e coinvolgendone tutte le componenti. Ne sono un esempio la presenza dei programmi di altre fasce orarie che si trasferiscono a Sanremo o inviano inviati sul posto, l’ampliamento della copertura radiofonica e, più recentemente, la nascita di eventi collaterali come il “Festival diffuso”, che ha esteso la manifestazione ben oltre il Teatro Ariston, coinvolgendo l’intera città.

Questa nuova impostazione può essere fatta risalire ai tre Festival di Carlo Conti, che hanno segnato un primo momento di cambiamento. Conti ha poi passato il testimone a Claudio Baglioni, il quale ha introdotto ulteriori novità, come è naturale che accada con l’alternarsi delle direzioni artistiche e delle conduzioni. Successivamente, Baglioni ha lasciato il posto ad Amadeus, che ha guidato il Festival per cinque edizioni consecutive. In questo decennio, composto dai tre Festival di Conti, i due di Baglioni e i cinque di Amadeus, si è delineata un’evoluzione costante, con alcune accelerazioni importanti. Negli ultimi dieci anni si è lavorato in modo progressivo per rendere il Festival sempre più capace di intercettare e proporre la nuova musica italiana, rinsaldando il legame con il pubblico più giovane, che in passato si era progressivamente allontanato dalla manifestazione. La rinnovata attenzione dei giovani è stata favorita anche dal lavoro svolto sui social network e dall’integrazione di fenomeni nati al di fuori del Festival stesso, come il FantaSanremo, che è rapidamente diventato parte integrante della manifestazione.

Pur con differenze e cambiamenti, l’ultimo decennio ha segnato un’evoluzione profonda, trasformando Sanremo in un evento che non solo domina la scena musicale italiana nei giorni del Festival, ma risuona anche nelle settimane precedenti e successive, calamitando l’attenzione dell’intero Paese. Il suo impatto, musicale e culturale, ha assunto un peso enorme, al punto che, negli ultimi anni, è diventato un evento di riferimento anche per gli investimenti pubblicitari. In questo senso, il Festival può essere paragonato al Super Bowl americano: nella settimana sanremese si assiste a un ingente dispiego di investimenti da parte di grandi aziende, comprese realtà che fino a poco tempo fa sembravano lontane da questo tipo di evento. Questo è un ulteriore segnale di quanto Sanremo sia diventato centrale nella società e nel mercato italiano.

Parliamo dell’Eurovision Song Contest. È più legato a questo evento o a Sanremo?

È una domanda a cui non posso rispondere in modo netto, perché è come chiedere se si preferisce la mamma o il papà. Sono due eventi per me fondamentali, ma per ragioni diverse. Il Festival di Sanremo è qualcosa a cui sono legato fin da quando ero piccolo: rappresenta un pezzo della mia memoria personale, dalle visioni in famiglia agli ascolti condivisi con gli amici. Aver poi avuto l’opportunità di lavorarci come direttore è stato il coronamento di un sogno personale. L’Eurovision, invece, è stata una scoperta più recente, ma altrettanto importante. Ho avuto la possibilità di dargli il miglior palcoscenico possibile in Italia, ovvero Rai Uno, e di lavorarci direttamente. Inoltre, ho avuto il privilegio di assistere dal vivo a due edizioni, a Stoccolma e a Kiev, dove l’Italia era tra i favoriti. Eravamo pronti ad accogliere con entusiasmo la sfida di organizzarlo nel nostro Paese, pur consapevoli della complessità dell’evento.

Vedere oggi l’Eurovision aver trovato una sua centralità, diventando un’altra “settimana santa” per me, quella di maggio, è motivo di grande soddisfazione. La Rai, a un certo punto, lo aveva abbandonato, per poi rientrarci con lucidità e coraggio, anche grazie alla spinta fondamentale di Raffaella Carrà. Inizialmente il ritorno è stato cauto, trasmettendolo su Rai Due, ma una delle cose di cui vado più orgoglioso nella mia carriera è averlo portato su Rai Uno, costruendo attorno all’evento una strategia di lancio e valorizzazione che ha permesso negli anni di trasformarlo in un grande successo popolare. Oggi l’Eurovision è un evento di punta per la Rai, non solo per il pubblico giovane ma anche per altre fasce di spettatori, e questo è motivo di grande orgoglio per me.

Questa intervista fa parte della puntata SPECIALE CARTACCE- Sanremo, oltre la musica: potete ascoltarla cliccando qui.


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