Giornata di studio e ascolto alla Casa Circondariale di Civitavecchia
Scritto da redazione il 06/03/2025
A cura di Gianmaria Oroni
Alle 10.20 di un soleggiato mercoledì mattina arriviamo alla stazione di Civitavecchia. Percorriamo il lungomare, assaporando la brezza che passa tra le piccole imbarcazioni ormeggiate al porto. Siamo giunti su via Tarquinia e ci incontriamo con la prof.ssa Perrotta al civico numero 20. Una targa in pietra recita “Casa Circondariale – Appuntato Giuseppe Passerini”. Inizia la visita di “Roma Tre Radio” ai detenuti del carcere di Civitavecchia. Varcata la soglia dell’ingresso, la Polizia Penitenziaria ci raccomanda di lasciare qualsiasi dispositivo elettronico nelle apposite cassette. Una volta superato il metal detector, veniamo accolti e accompagnati da Federica Manzitti, curatrice dei podcast “Due Blu”, “Sottocoperta”, “Spazzolini”, “Cartoline” e “Belle Dentro”, che avremo poi modo di ascoltare.
Prima di raggiungere la sala, attraversiamo un giardino pieno di piante e di fiori, che assorbono e riflettono tutta la luce della giornata, restituendo un’immagine del tutto diversa dalle rappresentazioni a cui spesso siamo abituati degli istituti di reclusione. Scopriremo a fine giornata che quel giardino è curato dagli stessi detenuti. Entriamo nella sala dove avremmo passato il resto della visita e conosciamo Ludovica Andò della Compagnia AdDentro/Sanguegiusto. Il progetto di storytelling dei detenuti “La scena invisibile” è stato realizzato grazie al contributo di questa organizzazione, di Federica e Ludovica e di “area Politiche degli Enti Locali Polizia Locale e Lotta all’Usura” della Regione Lazio.
Si nota subito la presenza di un palco, con una targa che scende dalle quinte con su scritto “Nati Liberi”. Un cartonato del film “Fortezza”, realizzato in collaborazione con l’Università di Roma Tre, occupa lo spazio della scena, assieme a foto di vecchie rappresentazioni teatrali. Il centro della sala è pieno di sedie bianche in plastica, mentre, in fondo, da una parte c’è il gabbiotto degli agenti di custodia, dall’altra una parete dipinta e una piccola area giochi per bambini. Annalisa, un’educatrice, ci spiega che questo spazio è utilizzato per gli incontri con i famigliari, le chiamate o per portare avanti il progetto per il quale siamo qui. Iniziano ad arrivare gli artefici dei podcast. Prendiamo posto cercando di mischiarci: studenti, detenuti, docenti e collaboratori. Delle 80 persone che stanno scontando la pena in quell’edificio, abbiamo la fortuna di conoscerne 16.
Dopo un breve giro di presentazioni, ascoltiamo tre estratti. Non senza emozionarsi, Maurizio si riascolta mentre parla di un amore sconfinato per sua madre, del funerale che ha dovuto pagare a sue spese, della pace che prova quando va a trovare i suoi genitori al cimitero e si confida con loro. Ora è il momento di Omar. Il protagonista del racconto è uno spazzolino che compie il suo viaggio assieme a lui, sulle note di una grande musica drammatica, mentre quella astronave che puliva i suoi denti da bambino, come la chiamava sua madre, si trasforma in un semplice oggetto della quotidianità, che ora è cambiata come è cambiato lui. Il terzo spezzone è a cura di Stefano, che evoca la potenza sconfinata del ricordo, immaginando una cartolina da zero, piena di dettagli, componendo un paesaggio mozzafiato. Facciamo una breve pausa fuori, sia per scaricare la tensione emotiva, sia per fumare una sigaretta. È difficile avere la percezione del tempo che passa qui, soprattutto quando non si ha per le mani la prosecuzione naturale del nostro braccio: il telefono. È difficile sentire il profumo del mare e non poterlo vedere.

Scambiamo due chiacchiere e rientriamo. Il racconto di Maicol ci porta su una barca di pirati in mezzo al mare, desiderosi di trovare un forziere pieno di tesori. La ciurma è formata dai suoi compagni di cella e da Ludovica e Federica. La compagnia riesce a trovare il tanto anelato forziere. Scopriranno che il tesoro è la vita stessa e la libertà e non c’è ricchezza più grande. In pochi minuti è riuscito a trasmetterci ciò che significa passare parte della propria esistenza tra quattro mura. Lo spessore umano di queste persone ci interroga su come concepiamo il tempo, le relazioni e i sentimenti nella nostra vita. Come operai della notizia, siamo costantemente preoccupati della reazione del pubblico, dell’immagine e di non essere i primi a raccontare qualcosa.
Questa esperienza ci insegna come sparire e contare solo su te stesso abbia l’effetto collaterale di essere originale, sincero e profondo. La necessità di essere perfetti in 90 secondi di un reel sui social svanisce. Secondo Omar: “noi abbiamo vissuto una morte prematura qui”. Maicol, che lo osserva con i suoi grandi occhi cerulei, gli risponde: “sì, ma anche una rinascita”. In questo scambio si riassume molto delle storie e delle sensazioni che queste persone ci hanno trasmesso, che non basterebbe un libro per raccontarle. Vi ricordate di Maurizio? del desiderio che ha di andare a trovare i suoi genitori al cimitero? Il carcere, così come la casa di chi non c’è più, è un non luogo che può racchiudere l’aspetto fisico di ogni esistenza, ma il ricordo e il sentimento rimangono sempre nel cuore di chi è fuori, nessun muro potrà mai fermarli se si ha la disponibilità di mettersi all’ascolto.
Per quanto invisibile sia questa scena, usciamo da quell’edificio con la consapevolezza di aver imparato qualcosa e che questo ricordo non ci abbandonerà mai. Il podcast è solo lo strumento che ci ha permesso di venire a contatto con l’animo di queste persone. La loro voce è il rumore della voglia di vivere e di non smettere di sognare. Nessuno dovrebbe mai dimenticarsi che suono fa.
A cura di Gianmaria Oroni